Attualità

Sacchetti in bioplastica, tra sviluppo e divieti

Il mercato dei sacchetti in plastica biodegradabile ha raggiunto nel 2021 il valore di 2,15 miliardi di dollari, con un tasso di crescita del 6,7% medio annuo nell’arco dell’ultimo decennio. Normative, andamento dei prezzi e l’evoluzione della capacità produttiva ne condizionano lo sviluppo.

Le buste in bioplastica – ormai sempre più diffuse – sostituiscono per la loro funzione i vecchi sacchetti di plastica ma sono composti con amido di mais, oppure con PHA o PLA.

I poliidrossialcanoati (PHA) sono polimeri poliesteri termoplastici sintetizzati da vari generi di batteri (Bacillus, Rhodococcus, Pseudomonas eccetera) attraverso la fermentazione di zuccheri o lipidi. Questi materiali sono biodegradabili e sono usati nella produzione di bioplastiche. L’acido polilattico (PLA), o più correttamente il poli acido lattico o polilattato, è il polimero dell’acido lattico.

Le plastiche biodegradabili sono plastiche che vengono degradate da microorganismi presenti nell’acqua, nel diossido di carbonio (o metano) e nelle biomasse in presenza di condizioni specifiche.

A tutt’oggi le buste della spesa, o shopper, sono il prodotto di consumo numero uno al mondo, nonché tra i prodotti più banditi a livello mondiale.

Le buste per la spesa in plastica tradizionale (shopper) sono nate dopo la Seconda guerra mondiale con il boom della plastica, e nel corso degli anni ’70 del secolo scorso sono diventate universalmente diffuse. Alla fine degli anni ’80 negli USA nei negozi di generi alimentari la plastica trionfava, avendo sostituito i tradizionali sacchetti di carta.

Il mercato mondiale dei sacchetti in plastica biodegradabile ha raggiunto nel 2021 il valore di 2,15 miliardi di dollari, con un tasso di crescita del 6,7% medio annuo nell’arco dell’ultimo decennio (vedi figura 1)

Sul mercato totale delle plastiche biodegradabili, valutato in 7,7 miliardi di dollari, gli shopper incidono per il 28%, e rappresentano l’impiego più significativo (vedi tabella 1).

Gli impieghi delle bioplastiche

I principali impieghi delle bioplastiche si possono così classificare:

  • imballaggio: confezionamento di prodotti cosmetici e per il personal care, bottiglie, food packaging, vaschette, tazze, ecc;
  • shopper e sacchetti: sacchetti per supermercati, negozi, farmacie;
  • beni di consumo: posaterie, piatti, bicchieri;
  • impieghi tessili: come fibra;
  • agricoltura e orticoltura: la plastica biodegradabile viene utilizzata per la produzione di teli per pacciamatura; questi teli rappresentano un’alternativa economicamente conveniente ai materiali organici, quali paglia, juta o lana. Si tratta di teli di plastica studiati appositamente per utilizzi agricoli: il livello di efficacia di questi teli può arrivare al 95% del controllo delle erbe infestanti; viene inoltre ridotto l’apporto idrico, migliorando l’umidità del terreno;
  • altri vari: es. industria medicale (materiali da sutura, viti, componenti per implantologia), equipaggiamenti e componenti elettrici; la plastica biodegradabile viene anche usata negli pneumatici per ridurre il consumo di carburante.

L’area asiatica rappresenta potenzialmente il mercato di maggiori dimensioni, anche se allo stato attuale resta ancora molto da fare per una completa sostituzione dei sacchetti tradizionali. In Asia è la Cina il maggior mercato potenziale, ma allo stato attuale il livello di penetrazione delle plastiche biodegradabili sulla plastica totale è ancora bassa.

Attualmente la Cina è il maggior produttore di rifiuti di plastica al mondo (vedi tabella 2); l’Australia invece è il paese maggior produttore di rifiuti di plastica pro capite (vedi tabella 3).

Una breve panoramica sulla normativa sugli shopper in plastica nei vari paesi.

Le normative dell’Unione Europea sui sacchetti in bioplastica

Come ben evidenziato dai dati di tabelle 2 e 3, l’Unione Europea si distingue nel mondo per la lotta all’inquinamento da plastiche, che è divenuta una priorità. I paesi più virtuosi sono i paesi scandinavi (Svezia, Norvegia e Danimarca), che producono meno di 1.000 tonnellate di rifiuti di plastica all’anno; l’Italia poco meno di 9.000; la Spagna poco più di 12.000 e il Regno Unito circa 15.000. Globalmente l’Unione Europea produce circa 317.000 tonnellate/anno di rifiuti di plastica pericolosi. E i sacchetti di plastica, insieme agli articoli usa e getta e alle microsfere, rappresentano le fonti principali di tali rifiuti inquinanti. I sacchetti di plastica sono i prodotti sotto mira più regolamentati: infatti circa i due terzi dei paesi che fanno parte dell’Unione Europea hanno per lo meno stabilito delle Normative, anche se esistono notevoli differenze tra un paese e l’altro. In ogni caso, l’obiettivo chiave della Normativa è quello di ridurre la plastica immessa nell’ambiente, con la sostituzione dei tradizionali sacchetti con sacchetti in plastica biodegradabile.

I divieti riguardano la produzione, l’utilizzo, la distribuzione, la vendita o l’importazione. I divieti poi non si applicano in maniera univoca a tutti i prodotti usa e getta. Oltre le differenze di Normativa tra paese e paese, va comunque rilevata una certa mancanza di disposizioni precise circa i procedimenti e le sanzioni da applicare ai contravventori.

La Direttiva EN 13432 sui materiali biodegradabili e compostabili

Nel 2002 la Direttiva EN 13432 del Comitato Europeo di Normazione enunciava le caratteristiche dei materiali biodegradabili e compostabili, rettificando e specificando alcuni punti della precedente Direttiva 94/62/EC. In pratica, con tale Direttiva l’Unione Europea non ha imposto la messa al bando delle buste di plastica tradizionali, ma piuttosto ha disposto, con una Normativa autorizzata del Comitato Europeo di Normazione (appunto la EN 13432) le caratteristiche che un materiale deve avere per poter essere definito come materiale biodegradabile o compostabile: in sintesi, la differenza tra un materiale biodegradabile ed uno compostabile sta nel modo in cui vengono smaltiti: un materiale compostabile si disintegra in meno di 3 mesi, mentre per un materiale biodegradabile il 90% del materiale si biodegrada entro 6 mesi.

L’importanza di questa Legge risiede nel fatto che, oltre a definire il concetto di biodegradabile, lo distingue da quello di compostabile, e si riferisce non ai soli shopper di plastica, ma al packaging in generale. Successivamente, la Direttiva UE 2015 /720, prendendo le mosse dalla precedente Direttiva EN 13432 del 2002, passa dalla definizione all’applicazione del sacchetto bio. Tale Direttiva auspica il raggiungimento di “obiettivi di riduzione nazionali”, imponendo “restrizioni all’uso o misure di carattere finanziario” relativamente alla distribuzione e diffusione dei tradizionali sacchetti di plastica inquinanti; ciò allo scopo di disincentivare la pratica di utilizzo dei tradizionali sacchetti di plastica inquinanti, pratica ancora molto diffusa sia a livello di commercializzazione che di consumo.

La Direttiva inoltre afferma il divieto di fornitura a titolo gratuito delle borse di plastica ammesse al commercio e la progressiva riduzione della commercializzazione delle borse di plastica, fornite come imballaggio primario per alimenti sfusi, diverse da quelle compostabili. La Legge in pratica è una chiara ed esplicita raccomandazione di fare un uso sempre più ampio di buste compostabili in sostituzione delle tradizionali buste di plastica, in particolare per quanto riguarda i generi alimentari freschi (es. frutta e verdura), con il chiaro obiettivo di una drastica e rapida riduzione dei sacchetti in plastica tradizionali in tutta l’Unione Europea, in particolare appunto nel segmento alimentare fino all’80% entro il 2019; l’intento è quello di arrivare ad una sostituzione completa con sacchetti in plastica biodegradabile e compostabile, o, in alternativa, in plastica riciclata. In Italia, con la Legge N°. 123 del 3 agosto 2017, oltre ad essere eliminata la disciplina sulla classificazione dei rifiuti prevista dalla Legge N°. 116 del 2014, entra finalmente in vigore, dopo un lungo iter, la Normativa sugli shopper di plastica leggeri: tale Legge recepisce la Direttiva Comunitaria UE 2015/720, che, a sua volta, modificava la precedente Direttiva 94/62/EC per quanto riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero.

Asia: il problema dei rifiuti di plastica in Cina

Come visto, la Cina è il maggior produttore al mondo di rifiuti di plastica inquinanti; non solo, ma in generale è il paese più inquinante al mondo in assoluto (vedi tabella 4).

Già alcuni anni fa, consapevole delle dimensioni dell’inquinamento prodotto, la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Risorse e il Ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente Cinese, fautori della nuova politica sulla plastica monouso, avevano dichiarato che entro il 2020 i sacchetti di plastica sarebbero stati vietati in tutte le principali città della Cina, e in tutto il paese entro il 2022. Il problema della sostituzione delle tradizionali buste di plastica con polimeri green si è posto in maniera drammatica in Cina, considerando l’enorme consumo di plastica nel paese. La più grande discarica della Cina, avente le dimensioni di circa 100 campi di calcio, ha saturato la sua capienza 25 anni prima del previsto. Nel solo anno 2017 sono stati raccolti 215 milioni di tonnellate di rifiuti domestici e, stando ai dati Our World in Data, già nel 2010 la Cina aveva prodotto bel 60 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica inquinanti, seguita dagli USA con altri 38 milioni di tonnellate. Lo studio, pubblicato nel 2018, stima una proiezione non molto differente fino al 2025.

Già in precedenza, nel 2008, la Cina aveva vietato la produzione di buste di plastica ultrasottili, e nel 2017 ne aveva vietato l’importazione da paesi esteri. La Provincia di Hainan sarà la prima in Cina a vietare la produzione di sacchetti di plastica non biodegradabile, oltre che di alcuni prodotti monouso, tra cui le posate. In ogni caso va rilevato che la lotta all’inquinamento in Cina incontra ancora molte difficoltà; la strada è complicata oltre che dalla fragilità dell’economia interna del paese, anche dal difficile accordo tra Autorità Centrali e Locali. Le emissioni di CO2 sono tuttora in crescita, con un picco previsto nel 2030, mentre la decarbonizzazione completa non potrà essere realizzata prima del 2060.

Altri paesi nel continente asiatico puntano all’eliminazione delle materie plastiche tradizionali; ad esempio, la Tailandia aveva vietato già alcuni anni fa l’uso di buste di plastica monouso nei maggiori negozi a breve, mentre un divieto completo doveva entrare in vigore entro il 2021. Da notare che Tailandia, Vietnam, Filippine, Malaysia e Cina insieme sono responsabili di ben 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti plastici nei mari, quasi il 60% dei rifiuti plastici nei mari a livello globale. In questi cinque paesi il 60% della spazzatura non viene raccolta per lo smaltimento, che a sua volta presenta numerosi limiti dovuti al fenomeno dell’abusivismo, e al fatto che le discariche stesse non sono sufficientemente isolate.

Gli USA cercano una soluzione al problema dei sacchetti di plastica

Negli USA si sta cercando affannosamente una soluzione al problema dei sacchetti di plastica; intanto le Autorità Locali hanno investito in cestini posizionati vicino all’uscita dei negozi, per invitare i cittadini a buttare lì le buste usate, che poi andranno al riciclaggio. Peccato che il tasso di riciclo nel paese sia soltanto di circa il 10%.

Comunque, nel luglio 2020 è entrata in vigore una Legge che proibisce ai ristoranti di fornire ai clienti buste per la spesa, palettine e bicchieri in plastica monouso, o altri contenitori per cibi in polistirolo espanso. Il divieto riguardante le buste è applicato solo alle buste fornite dai negozi e non a quelle per la raccolta dei rifiuti domestici. Il Vermont è stato il primo Stato a vietare tutti questi prodotti con una sola Legge, ma numerosi altri Stati hanno vietato uno o più di questi prodotti in plastica tradizionale; per esempio, gli Stati di Hawaii, Maine, California e New York hanno vietato l’uso di buste di plastica usa e getta.

Africa: il Kenya vieta i sacchetti di plastica

Un esempio significativo è quello del Kenya. Nel 2017 è stato emanato un Decreto che vieta a livello nazionale l’uso di buste di plastica sottile: per esempio, nel mercato all’aperto di Wakulima, a 150 Km a nord – ovest di Nairobi, i prodotti deperibili vengono impacchettati in buste più spesse realizzate in tessuto sintetico. Il Divieto in oggetto ha portato ad un risparmio di 100 milioni di buste all’anno, che sono il consumo nazionale di shopper, considerando soltanto i supermercati. Il problema della gestione dei rifiuti in Kenya è molto grave: solo il 15% degli imballaggi in plastica è riciclato.

Il continente africano nel suo complesso è attualmente considerato il primo al mondo nell’applicazione delle Normative anti – sacchetti in plastica. Il Kenya è il paese con le Leggi più severe al mondo nel vietare i sacchetti di plastica; produttori, distributori e importatori sono tassati fino ad un importo di 38.000 di dollari, o rischiano 4 anni di prigione.

L’evoluzione del mercato dei sacchetti in bioplastica

Nel delineare le possibili evoluzioni di questo mercato vanno tenute presenti alcune considerazioni:

  • è in atto uno particolare attenzione agli aspetti di ecosostenibilità in generale: la stessa Normativa è particolarmente stringente a questo proposito. I casi sopra citati sono solo alcuni esempi, ma in ogni caso si assiste ad un crescente movimento di portata mondiale mirante a vietare le plastiche monouso e gli shopper in plastica tradizionale. Secondo un report pubblicato dall’ONU nel 2018 erano 127 le nazioni al mondo che avevano bandito, o quantomeno tassato, l’utilizzo delle buste in plastica tradizionale. Va però detto che, nonostante i divieti sull’uso delle buste in plastica tradizionale si vadano velocemente diffondendo in tutto il mondo, la loro effettiva efficacia è ancora da verificare in molte nazioni. I divieti sulle buste di plastica hanno comportato divieti anche su altri prodotti in plastica usa e getta, quali piatti, posate, bicchieri, cannucce e bottiglie; si stima che la plastica usa e getta rappresenti all’incirca il 40% della plastica totale consumata a livello mondiale; nello specifico si stima che nel mondo si producano in totale ogni anno 5.000 miliardi di buste di plastica;
  • il costo dei sacchetti in plastica biodegradabile però è decisamente più elevato del costo dei sacchetti in plastica tradizionale; si valuta che il costo della plastica biodegradabile sia dell’ordine di 2 – 3 volte, e anche di più, il costo della plastica tradizionale;
  • mancano inoltre, un po’ in tutti i paesi, investimenti e fondi strutturali che incentivino la produzione di plastiche ecocompatibili e compostabili; in particolare la Cina, un mercato potenziale enorme nel contesto mondiale, ha grosse difficoltà a portare avanti un piano di eco-sostenibilità in generale. In questo momento in particolare sono carenti supporti di tipo finanziario che possano implementare in maniera adeguata la produzione di plastiche ecocompatibili in sostituzione dell’enorme quantità di plastica tradizionale prodotta nel paese.

In ogni caso, le considerazioni a favore, in particolare l’attenzione degli ultimi tempi per quanto riguarda gli aspetti di ecosostenibilità del packaging, e sotto la spinta della Normativa sempre più stringente, tenderanno a fare da traino al mercato dei sacchetti di plastica biodegradabile.

A livello mondiale si stima una crescita del mercato dei sacchetti in plastica biodegradabile del 7% medio annuo: in tabella 5 è mostrato il mercato potenziale nelle singole aree geografiche al 2026, ipotizzando una omogenea penetrazione delle buste in plastica biodegradabile in tutti i paesi; in tabella 6 è evidenziato il potenziale mercato nei 10 maggiori mercati mondiali, sempre al 2026.

a cura di Giuseppe Tamburini