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L’ottimismo dei materiali compositi

Il ruolo dei compositi in edilizia è destinato a crescere, soprattutto per le richieste di sempre maggiore qualità estetica e strutturale delle costruzioni, nonché di maggiore sicurezza statica. Resine epossidiche e altre miscele forniscono un’ampia varietà di soluzioni.

di Enzo Lo Scalzo

La legacy della seconda esposizione JEC World di Villepinte è proposta dal team con pieno ottimismo. L’indispensabilità dei materiali compositi è riconosciuta in tutti i settori delle applicazioni più sensibili e fantasiose nel pianeta e nello spazio.
Cosa manca ancora? Cosa non arriva al cuore, al cervello, alle forme infinite delle espressioni più audaci? Un’incredibile leggerezza? L’indistruttibilità di forma e materia? L’universalità senza peccato del calcolo a elementi finiti e allo sviluppo delle costruzioni più ardite? Arte e scienza di design nascosto nel minimalismo apparente? La dominanza del carbonio nero antracite ha portato alla riflessione lucida nelle forme di cristallo nero?
Il rapporto che si è generato tra “arte” e “design” anche per la definizione appropriata di “artista” e di “designer” è stato oggetto di profonda riflessione e dibattito per il progenitore della professionalità, Bruno Munari. Il metodo empirico nella definizione di una forma strutturale ha raggiunto ormai un grado di efficienza e riconoscimento globale, parallelamente alla continua espansione storica della tradizionale edilizia di massa. Facendo direttamente ricorso a materiali prestanti, senza categoria, l’architettura strutturale passa dalla ricerca della forma al “free form design”. Dall’arte del progetto litoide che lavora in stato di “tensione” unilaterale, i progettisti guidati da “intuizioni statiche” sono riusciti in gran parte a plasmare costruzioni complesse, stabilizzate dal principio “gravitazionale”, agendo sulla massa a carico statico della struttura a garanzia di un risultato estetico certo.
Con l’avvento di strutture a “membrana” e “tensostrutture”, in cui la morfologia deve soddisfare la necessità d’individuazione di forma e geometria iniziale, oggi, architetti e ingegneri si trovano di fronte una nuova sfida, il “free form design”, tendenza ove l’estetica prevale sulla statica e il ruolo richiesto alle strutture è quello del semplice supporto al “design” architettonico. In esso in linguaggio simbolico e formalismo matematico sono andati ben di là dalla meccanica razionale delle strutture, modellandola a servizio del “calcolo automatico”, “a elementi finiti”, che sfrutta il coordinamento spaziale di tensioni e resistenze vettoriali 3D e i rispettivi concetti di “lamine” e complementi elastici, a deformazione reversibile. Oggi, dichiara un esperto de nuovi materiali compositi. Oggi è opinione comunemente condivisa in scienza, ma ancora non divulgata nella società civile, che il calcolo a elementi finiti abbia messo fine all’era dell’ingegneria semi-empirica. Ora è possibile costruire raffinati modelli matematici per alcuni dei fenomeni più complessi della fisica e, se l’elaboratore ha potenza sufficiente, “si ottengono risultati numerici affidabili in base alla risposta del sistema sottoposto all’esame”, dimensionale sub-atomico, cioè elettronico.
Gli errori della modellizzazione basata sul metodo degli elementi finiti sono stati messi in evidenza nella prima “Conferenza Internazionale” sulle tecnologie computazionali applicate alle “strutture”. Mi sono arrogato forma e concetti che l’amico, ormai centenario professore Stephen Tsai, sosterrebbe e che oggi sono firmati (Reliability and safety factors of new hi-tech composite materials) da Massimo Majowiecki, in Area, rivista di architettura e forma strutturale, nel 2014 e nella recentissima conferenza a Berlino.

Dal titanio ai materiali compositi

Si tratta d’effetti derivanti dalle temperature di transizione? Il nuovo potenziale di sviluppo dei materiali compositi secondo la tesi pubblicata in JEC 114, cui hanno partecipato autorevoli professionisti, docenti, ingegneri, tecnologi, si è finora manifesta con l’obiettivo storico di sostituibilità di metalli con i compositi. In fondo, alla mia laurea, nel 1957 mi ritrovai in sintonia con la forte ispirazione alla corsa di produzione di un metallo miracoloso, prezioso, il titanio, per superare le debolezze in applicazioni della moderna aeronautica e dei futuri approcci spaziali con i metalli leggeri (Mg, Al): le promesse del Ti(tanio) erano pronte a affrontare proprietà di legni, leghe leggere e acciai legati. Per le strutture a terra, il cemento armato mantiene la fama di promessa e realtà valida a sostenere fino sfiorare i 450 m.s.l.m. a New York con gli acciai. Oggi, con i 410 m della Mercury Tower a Mosca, in c.a., gli Emirati sfidano cinesi, malesi, Singapore, Americhe ed Europa per terrazzi e antenne sopra a 800, fino a superare 1000 m.s.l.m.
La tesi di ricerca della via al Ti da “ilmenite” è, nel 1957, alternativa economica ai processi sviluppati da Du Pont da “ TiO2 rutilo”, quale risorsa “chiave” per il metallo passando dal tetracloruro, TiCl4. L’alternativa del processo di “smelting” da sabbie ilmenitiche sfruttava le limitate disponibilità naturali di TiO2. Pertanto mi riconoscevo fan della nuova metallurgia, ritenuta protagonista del futuro strutturale di Titanio e dell’accessibilità a materiali metallici capaci di qualificare la potenza strategica nazionale. Quando nell’autunno 1957 Eisenhower dichiarò, con spirito ”neo-autarchico”, la sospensione di ogni ingresso nella società industriale US d’intelligenze fisiche da altri paesi con lo scopo di proteggere l’economia strategica industriale US, in confronto alla sfida in ascesa della tecnologia europea, sentii di sprofondare.
L’espatriazione nel middle west degli US fu cancellata a contratto firmato, e il gruppo metallurgico US (Allis Chalmers) si scusò per l’inaspettato ostacolo. In Italia, il c.d.A. del gruppo Montecatini aveva in progetto l’investimento nella stessa direzione strategica, la metallurgia del Ti, sulla scia del successo conseguito con lo sviluppo dell’Alluminio. La tesi di ricerca ispirata dal preside, prof Livio Cambi, aveva interessato la presidenza del gruppo che mi raggiunse in Germania tra novembre e dicembre. Per fare pressione sulla mia intenzione di sviluppare una potenziale carriera in Germania o Svizzera, nei centri di ricerca interessati alle conclusioni della tesi. Superata la sorpresa del rinvio a nuova data del piano d’investimento in gennaio, il gruppo mi propose l’inserimento nel gruppo di ricerca al Politecnico di Milano del prof Natta, sui nuovi polimeri cristallini stereospecifici. Mi furono accordati tre giorni di riflessione per raggiungere la convinzione sul pregio della proposta: la chiave decisiva dell’accettazione fu l’auto-convincimento che lo sviluppo della scienza dei materiali strutturali cui ero interessato, in ingegneria industriale e architettura, fosse coerente con i “polimeri strutturali”. Mi convinsi che la materia fosse limitata nell’uso da una “proprietà critica”: la resistenza strutturale alla temperatura. Per metalli e ogni altro materiale, dalle rocce al legno.
Di fatto, la proprietà si caratterizza con la temperatura di transizione tra stato cristallino e stato vetroso (Tg), oltre al rammollimento, fusione e/o decomposizione. Ebbene, i polimeri ricercati dal gruppo Natta, al Politecnico a Milano e all’istituto Donegani a Novara tra il ‘50 e ‘60, erano dedicati alla sintesi innovativa dei polimeri stereospecifici per l’industrializzazione: con un significativo grado di cristallinità, la Tg dei polimeri si rivelò inferiore ai miei occhi solo per alcune centinaia di gradi ai metalli e leghe leggere, Al e Mg. L’ordine di grandezza della scala delle temperature si sovrappone con uno scarto limitato da 100 e poco più di 200 °C, ma con il potenziale teorico di raggiungere 350°C, in grado di conservare proprietà strutturali senza decomposizione di materia.
La conversione dal sogno metallurgico al macro-organico ebbe successo: da allora, con una sola ricaduta sul Magnesio nei ’70, mi sono occupato di polimeri, affascinato da obiettivi di comportamento strutturale al top di quella scala, cui aspirano tutti i polimeri post reticolati termoplastici e/o termoindurenti. Tra essi già era ben noto lo scheletro polimerico di resine fenoliche e, in futuro, delle fibre di Carbonio. Anche il parente atomo di Silicio compete, dalle rocce alle fibre, tra le strutture nobilitate dalle fibre ottiche dominanti nell’elettronica, anche se le polimeriche competono per prestazioni soprattutto nell’ultimo chilometro.
Forse questo percorso concettuale di facile comprensione è ancora valida chiave per catturare l’attenzione di “architetti e ingegneri” sui materiali compositi strutturali. Essi possono stare tranquilli riguardo durata e permanenza di qualità strutturale, con CF e GF inserite con precisione molecolare in interfacce stabili di collaborazione e continuità protetta da resine termoindurenti, anche oltre 300 °C, in grado di rispondere positivamente alle critiche di sicurezza all’uso in condizioni severe, a terra e in mare, oltre che nell’aria e nello spazio.

Sviluppo e sicurezza

Molti sono i progetti innovativi che si propongono di estendere lo “stato dell’arte” alle applicazioni d’ingegneria delle costruzioni, ma di fatto, sulla base d’esperienze personali, le nuove morfologie strutturali possono generare incertezze nella valutazione dei coefficienti di sicurezza. Mi riferisco alla prudenza con cui sono sottoposti a esame “giunti per adesione strutturale” rispetto a giunti meccanici ottenibili tramite bulloni e rivettature. Solo da pochi anni la fiducia riposta negli adesivi strutturali è recepita e applicata in ingegneria aeronautica e condivisa, con la molteplicità dei casi che si presentano, in ingegneria automobilistica, navale e meccanica industriale. In primis, riguarda l’adesione di pareti trasparenti e cieche nei sistemi modulari di ampia dimensione.
Nell’era delle “metamorfosi linguistiche”, come le definisce E. Benvenuto nel saggio “La scienza delle costruzioni e il suo sviluppo storico”, il linguaggio simbolico e il formalismo matematico sono andati oltre la meccanica delle strutture, piegandola all’uso del calcolo “automatico”. La “mentalità” fondata sull’empirismo scientifico ha subito una radicale evoluzione. J. T. Oden e K. J. Bathe vedono in questo cambiamento l’inizio di una nuova era, definita “empirismo computazionale”. Un articolo riporta interessanti osservazioni:
“Da 40 anni, la comunità degli ingegneri era consapevole che l’impiego di metodi analitici classici offriva strumenti limitati per lo studio del comportamento meccanico dei materiali rendendo necessario integrare la propria analisi con buona dose di “intuizione” e discernimento acquisiti in molti anni d’esperienza”.
L’empirismo ha svolto un ruolo cruciale nella progettazione dei giunti: indicazioni derivate da numerosi test e conferme sul campo sono inevitabili. Nel caso di sistemi strutturali “speciali”, i modelli teorici più rigorosi da un lato privano d’ogni significato il modello di riferimento, riducendo a schema la realtà e, dall’altro, il pericolo che l’eccessivo ricorso ai calcoli scoraggiano i progettisti dall’esplorare soluzioni strutturali diverse.
I fallimenti strutturali documentati, in cui gli errori furono imputabili alla valutazione inadeguata del comportamento strutturale, sono ancora deterrenti da affrontare con il coraggio sostenuto dalla scienza e con ragionevole prudenza, in caso d’interazioni inaffidabili tra uomo e macchina. L’illusione che i “computer” possano sostituire la progettazione teorica avanzata e la capacità di esaminare criticamente e sinteticamente i risultati ottenuti va sorretta da vera esperienza collaudata e dall’ottimismo che il “composito” sia, da oggi, umanamente in vista.

Meno limiti al design
L’editore JEC F. Reux ricorda che Airbus non può fare a meno del 53% in materiali compositi e che l’autovettura si alleggerisce almeno del 30% nel peso medio. L’intelligenza dell’essere umano ne perpetua l’uso giorno per giorno, affiancato da innovazioni, prestazioni e tecnologie che aggiungono non solo valore, ma amorevole armonia con cui rimuove paure, timori, barriere psicologiche fino alle disattenzioni nell’uso con avvisi e correzioni agli errori.
Una facoltosa cittadina di una repubblica dell’est europeo chiese a un designer italiano di progettare a “qualsiasi costo” una scala a chiocciola in “cristallo di Boemia”, o di Murano, con lastre dalla trasparenza e lucentezza diamantina. Non dico con quanta precauzione l’architetto mise in luce la precarietà del “cristallo” naturale per ottenere con perfezione i giunti complessi derivanti dalla linea curva dii sviluppo della “chiocciola” nella trasmissione dei carichi impegnativi e variabili. Commentai che il diamante nero, di carbonio, tra i cristalli è al top della generazione di effetti di luce e cristallografia dal taglio diamantifero. Sorridendo suggerii che la forma allotropica della concatenazione lineare di atomi di carbonio super-resilienti, in grado di liberare affascinanti raggi di grazia fosse altrettanto irresistibile, per nulla funerea, sfumata da arcobaleni lucentissimi monocromatici. Cercai tra le foto di Foucha, al JEC, l’arcobaleno emergente dal lago incantato che richiama la regalità del cigno di colore nero. Un giorno vicino capiterà: gli architetti hanno appena cominciato a esprimersi con creatività e eleganza di forma con gli slanci di ponti, la dolcezza e l’eleganza delle sponde e la graziosa curva di seni e forme, stimolando la carica erotica che l’anima della materia fredda imprigionata sa sgorgare da una forma armoniosa.

Resine termoindurenti nelle tecnologie di edificazione 
Lo scenario è aperto: le resine epossidiche consolidano la predominanza nel mercato dopo l’acquisizione di Dow Chemical dell’intero business “epossidico” di Olin Corporation nel 2015. “Olin è una delle pochissime società del mondo in grado di fornire derivati organici e inorganici clorurati, all’origine dei processi di produzione di resine epossidiche per l’industria dei compositi.”. L’asserzione, di Juan Antonio Merino, presidente di Olin Global Composites, apre l’intervista a Jean Luc Guillaume, Marketing Director.
Il fatturato in materiali compositi di Olin in Europa si aggira intorno al 20% delle vendite, in aumento di anno in anno. Le barriere alla sostituzione di metalli e cemento armato sono ancora enormi: due critiche sono dominanti, la prestazione dei materiali e la produttività in serie dei componenti. Le contromisure in atto riguardano la gara alla riparazione di danneggiamenti al cemento armato interrato (tutte le reti di distribuzione di acqua in alimentazione e scarico) e delle costruzioni fuori terra, per l’affioramento dei rinforzi in acciaio, soprattutto nei ponti. Un potenziale reale di grande entità è sotto esame per l’applicazione facile con ampi tempi di conservazione delle proprietà finali in cantiere.
Un altro filone di prodotti è atteso dalla miscela di resine che consentano la diluizione delle malte anche con acque sporche e salate, adatta per tutte le regioni carenti di risorse d’acqua dolce (Medioriente, Cina del Sud, Africa) rinforzabili con impiego di fibre di vetro e di basalto. Un volume altrettanto grande deriva dalla pressione che si eserciterà globalmente sulle emissioni di CO2 nella produzione di cemento: i processi per ottenere la passivazione dell’acciaio a elevato pH sono responsabili dell’effetto ricercato. Pertanto la riduzione di pH nella produzione richiede una sostituzione delle armature d’acciaio con altre fibre che sono in fase di sviluppo industriale, pronte per la fornitura dell’intero pacchetto sostitutivo, inducendo uno stimolo alla collaborazione tra imprese e fornitori di materie prime. In Italia il gruppo Mapei non resta certamente a guardare.

si ottengono risultati numerici affidabili in base alla risposta del sistema sottoposto all’esame