Attualità

Un mondo senza plastica?

Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva una direttiva con la quale si mette al bando la plastica monouso. La problematica è assai più complessa di quanto appare nell’enunciato. C’è un attacco quotidiano e indiscriminato dei “mass media” verso i prodotti in plastica L’immagine riportata è il simbolo eclatante di come buona parte del “mass media” consideri gli oggetti di plastica, facendo di ogni erba un fascio, indipendentemente dalla loro funzione. Tutto ciò che è di plastica è stato pensato al solo fine di inquinare irrimediabilmente l’ambiente. A ciò si aggiungono gli appelli in TV di duecentomila tartarughe marine, e via di seguito.

E da parte degli Enti legislativi?

La UE ha emesso una Direttiva per quanto riguarda le plastiche monouso, mostrando più raziocinio, anche se sarebbe molto da migliorare. Essa prevede:

  • Nessun divieto per i bicchieri monouso – Dal 2026 la Direttiva Europea sul Monouso in Plastica all’art. 4 prevede una riduzione del consumo (non un divieto) dei bicchieri monouso. La Commissione Europea, entro 18 mesi dall’entrata in vigore della normativa, definirà gli obiettivi di riduzione che varranno per tutti i canali distributivi. L’UE quindi non impone di vietare i bicchieri di plastica né di sostituirli con quelli di carta con pellicola interna di plastica o di bioplastica.
  • Nessun divieto per le bottiglie di plastica (PET), ma più riciclo – Entro il 2025 la Direttiva Europea sul Monouso in Plastica non prevede alcun divieto per le bottiglie di plastica, ma nuovi requisiti di fabbricazione (art. 6): le bottiglie in PET dovranno essere prodotte con un minimo del 25% di materiale riciclato; i tappi dovranno rimanere attaccati alle bottiglie. L’art. 9 inoltre impone un obiettivo di riciclo per le bottiglie in PET del 77%. L’UE quindi non impone di vietare le bottiglie di plastica, ma di riciclarle.
  • Divieto (ma solo dal 2021) di alcuni altri prodotti monouso in plastica – Dal 2021 la Direttiva Europea sul Monouso in Plastica all’art. 5 prevede un divieto di immissione sul mercato di alcuni prodotti monouso: piatti, posate, cotton fioc, cannucce, mescolatori, bastoni per palloncini, contenitori per cibi e bevande in polistirene espanso.

L’intento della Direttiva è di ridurre l’inquinamento ambientale – marino in particolare – obiettivo nobile e condivisibile, ma che deve essere affrontato con raziocinio, senza coinvolgimenti emotivi, ma analizzando il problema anche sotto il punto di vista socioeconomico. Ci sono ambiti e settori dove il repentino abbandono degli imballaggi in plastica può creare notevoli problemi, sia in termini di sicurezza che di posti di lavoro.

In Italia, il favore mediatico della tematica ha portato Amministrazioni locali (Comuni, Regioni es altri Enti), ad anticipare la Direttiva Europea con divieti, ordinanze, regolamenti “Plastic Free”, divergenti tra loro e persino spesso contrastanti con i contenuti stessi della Direttiva.

Gli imballaggi in plastica? Indispensabili!

Mettiamo  in chiaro l’indispensabilità della plastica, non solo nei manufatti a lunga vita, come in campo auto, aerospaziale, elettrico-elettronico, medicale, edilizia, etc, ma anche in applicazioni monouso, come gli imballaggi. Partiamo alla lontana, dalla evoluzione della temperatura del pianeta. Rispetto alla media del periodo preindustriale, inizi ‘800, ora il valore è + 1°C.

Al 2100, secondo vari studi – senza interventi specifici di contenimento delle emissioni di CO2 – l’aumento della temperatura media del pianeta potrebbe oscillare tra + 3,0 e 3,3 °C. Il primo serio intervento per evitare tale sciagura, ci fu alla 15^ Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (COP 15 – Copenaghen 2009), in cui, se pur timidamente, oltre alla UE, anche USA e Cina presero impegni atti a limitare le emissioni di gas serra. Decisioni importanti, poiché, come mostra la Figura 3, sono proprio Cina e USA i maggiori responsabili – a livello di singolo stato – delle emissioni di CO2. Se vi aggiungiamo India e Russia abbiamo individuato i responsabili di oltre il 60% delle emissioni globali.

Il contributo dell’Europa è minore del 15%. Se ne deduce che per risolvere il problema del riscaldamento del pianeta devono agire fattivamente soprattutto i quattro “colpevoli”, mentre invece imporre ulteriori restrizioni all’industria europea la penalizzerebbe nei confronti del resto del mondo, senza apportare benefici significativi al bilancio globale delle emissioni.

Al COP 21 (Parigi, 2015) fu definita anche la “European Plastics Strategy”, molto ambiziosa, i cui punti più significativi sono:

  • tutte le plastiche dovranno essere riciclabili entro il 2030;
  • 50% dovranno essere riciclate entro il 2025;
  • 55% dovranno essere riciclate entro il 2030.

Non tutti i prodotti vengono banditi, anzi per il PET si punta ad un incremento del recupero:

  • i contenitori in PET dovranno contenere 25% di PET riciclato (rPET) al 2025;
  • rPET dovrà salire al 30% per il 2030.

A livello volontario, PlasticsEurope – per quanto riguarda PO (poliolefine), PVC e PS (polistirene) si è impegnata di arrivare a 100% di re-uso, riciclo o recupero di tutti gli imballi per il 2040, con fase intermedia al 60% per il 2030. Dal canto loro, l’associazione dei trasformatori di PET ha dato vita all’iniziativa Petcore (PET Container Recycling), con l’obiettivo di raggiungere il 100% di riciclo degli scarti di PET ricuperati e di riciclare, o comunque riusare, 65% degli imballi di PET ricuperati dal fine uso.

Il bando di stoviglie e piatti al 2020 pone seri problemi in termini di praticità, igienicità e per l’economia del Paese. Infatti, l’industria italiana è leader in questo settore a livello europeo. Le alternative sono rappresentate dai piatti di carta o di ceramica. I primi non sono di sola carta, perché devono comunque avere un film di plastica sul lato a contatto con il cibo. La loro tecnologia produttiva è oggi patrimonio cinese, per cui si dovrebbero importare, senza alcuna garanzia sulla sicurezza. L’alternativa ceramica è disastrosa, perché il loro lavaggio comporta elevato consumo di acqua – la cui disponibilità non è sempre illimitata – e rilascio nell’ambiente di detersivi, poiché gli impianti di trattamento delle acque reflue non sono sempre attivi.

La protezione degli alimenti

È importante mettere a confronto l’emissione di CO2 per la produzione di alcuni prodotti alimentari a confronto con quella corrispondente per produrre il relativo imballo di plastica che ne proteggerà l’integrità per tutta la “shelf life”.

La differenza è di due ordini di grandezza. Ricordiamo altresì che la disponibilità di efficaci imballi ha permesso – nei Paesi sviluppati – di ridurre a solo 3% la quantità di cibo che si deteriora in tutti i passaggi tra raccolta e consumo, mentre in quelli in via di sviluppo può toccare fino il 50%!

Altrettanto importante è l’efficacia dei contenitori di plastica sul loro trasporto. È stato calcolato che – in media – il peso dei contenitori di plastica è 3,56% del totale trasportato, mentre la media di tutti gli altri materiali di imballo è del 36%!

Un continuo sviluppo

Il continuo incremento dell’attività di Corepla, evidenziando il fatto che la raccolta – in termini di Kg / abitante – è passata da 1,9 del 1998 a 20,1. In sintesi, il riciclo degli imballaggi da raccolta differenziata, sempre per il 2018, è stato globalmente di 616.178 ton, di cui 244.809 ton di contenitori in PET – corrispondenti al 60% dell’immesso al consumo – 69.967 ton di contenitori in HDPE; 84.608 ton di film; 216.794 ton di altri imballaggi. Il grafico in Figura 7 riporta tali dati come percentuali. Si evidenzia che 43,4% degli imballi raccolti non viene inviato a riciclo. Si tratta, ovviamente, dei prodotti multi-materiale, film multistrato, poliaccoppiati eccetera, destinati prevalentemente al confezionamento di cibo, che per loro natura non possono essere recuperati con semplici operazioni. L’obiettivo è di ridurre tale fetta del 30% entro il 2025. COREPLA si mette in gioco come catalizzatore di nuovi progetti atti a migliorare la situazione. In particolare, per creare nuovi film performanti altrettanto bene degli attuali ma che siano meglio recuperabili.

Azioni specifiche per le bottiglie in PET

La Direttiva Europea pone il target di raccolta delle bottiglie in PET al 77% per il 2025. COREPLA, si sta muovendo sul piano pratico con l’obiettivo di posizionare 300 ecocompattatori sul territorio nazionale per il 2021, e, sul piano intellettuale, con il bando “Call for Ideas”, una chiamata di idee rivolta a Ricercatrici e Ricercatori dell’Università, ai Centri di Ricerca, alle start up, alle aziende, alle PMI e privati (attraverso l’apposita piattaforma www.coreplacall.it), per una miglior gestione degli imballaggi in plastica dalla progettazione al fine vita, al riciclo e a innovativi utilizzi del materiale riciclato.

Il sistema di deposito: aspetti positivi e negativi

Per implementare il target del 90% della raccolta delle bottiglie in PET al 2025, come imposto dalla Direttiva Europea, è stato anche proposto un sistema di deposito, che è molto incentivante per il consumatore, poiché la mancata restituzione si traduce in una perdita economica. Però, l’esperienza sul campo, attuata in Germania, non si è dimostrata completamente positiva. Innanzitutto, l’alto costo di messa in opera, di circa due miliardi, per un sistema che potesse garantire la restituzione in un luogo diverso da quello di acquisto. Poi, la logistica operativa richiede spazi appositi, che sono facilmente disponibili per i supermercati ma difficilmente reperibili presso i piccoli negozi, che verrebbero quindi penalizzati.

 

Dettaglio riciclo degli imballaggi in plastica 2018 in percentuale

a cura di Gabriele Modini