Le microplastiche sono emerse come una delle principali preoccupazioni ambientali, spingendo a una crescente consapevolezza pubblica e a una maggiore pressione normativa. In risposta, le industrie si stanno orientando verso alternative di polimeri biodegradabili.
Un nuovo studio della società di ricerche di mercato IDTechEx, esplora se le plastiche biodegradabili possano effettivamente affrontare l’inquinamento da microplastiche.
Le plastiche biodegradabili sono considerate un’alternativa alle plastiche convenzionali per affrontare l’inquinamento da microplastiche. A differenza di queste ultime, sono progettate per decomporsi in un lasso di tempo più breve in condizioni specifiche, riducendo potenzialmente la loro persistenza a lungo termine nell’ambiente. Sebbene le normative stiano spingendo il mercato ad adottare alternative biodegradabili, il loro ruolo nell’affrontare l’inquinamento da microplastiche può essere controverso.
Il rapporto di IDTechEx, Microplastics 2025: Regulations, Technologies, and Alternatives, esamina le plastiche biodegradabili come soluzione, fornendo una valutazione dei principali polimeri biodegradabili, evidenziando le sfide relative alla biodegradabilità e i principali attori nello sviluppo di soluzioni a base di polimeri biodegradabili.
Che cosa sono i polimeri biodegradabili?
La biodegradazione è il processo di metabolizzazione dei polimeri da parte dei microrganismi in acqua, CO2 e biomassa. Sebbene in isolamento ogni polimero organico sia generalmente biodegradabile (anche le poliolefine più resistenti hanno mostrato segni di biodegradazione), la degradazione di un polimero convenzionale può richiedere anni o decenni, anziché settimane o mesi.3 Per questo motivo, il termine “biodegradabile” può essere ambiguo se non vengono specificati l’ambiente e i tempi.
Il rapporto di IDTechEx evidenzia diversi standard per testare la biodegradabilità in una vasta gamma di ambienti, come suolo, acqua marina, compost, discarica, ecc. Ad esempio, secondo la norma EN17033:2018, i film pacciamanti biodegradabili utilizzati in agricoltura che sono destinati a biodegradarsi nel suolo richiedono un tasso di conversione del carbonio organico in CO2 > 90% in un periodo di 24 mesi, in un intervallo di temperatura di 20-25°C.
Come stanno affrontando le plastiche biodegradabili le normative sulle microplastiche?
Le microplastiche sono ampiamente utilizzate come additivi funzionali in prodotti che spaziano dai cosmetici, ai prodotti agricoli (fertilizzanti, rivestimenti per semi), ai prodotti farmaceutici e alle vernici.
Nel 2023, è stata introdotta la restrizione REACH dell’UE sulle microplastiche aggiunte intenzionalmente, che prevede l’eliminazione graduale di queste sostanze (ad esempio, nei cosmetici da risciacquo, nei detergenti, nei prodotti agricoli) entro il 2035. La definizione di microplastiche data dalla normativa, tuttavia, è “particelle di polimero sintetico non biodegradabile“, spingendo gli attori del mercato a sviluppare alternative biodegradabili.
Un esempio chiave è il settore agricolo, dove le microplastiche sono utilizzate in rivestimenti per semi e come incapsulanti per il rilascio controllato di fertilizzanti e prodotti fitosanitari. Il miglioramento della biodegradabilità dei polimeri agricoli è inoltre guidato da altre normative UE, come il regolamento sui prodotti fertilizzanti ((UE) 2024/2788 e (UE) 2024/2790) che richiede che i materiali utilizzati negli additivi tecnici siano biodegradabili o solubili e chimicamente non modificati.
Alla luce di ciò, diversi attori come BASF, Syngenta e Covestro hanno lanciato rivestimenti per semi biodegradabili o privi di microplastiche. Sviluppare micro-incapsulanti biodegradabili è tuttavia più impegnativo, poiché è difficile ottimizzare i fattori di rilascio controllato (come lo spessore delle pareti o il peso molecolare) senza compromettere la biodegradabilità del polimero. Nonostante ciò, startup come Calyxia (uno spin-off di ESPCI Paris – PSL, University of Cambridge e Harvard University) stanno sviluppando soluzioni come NaturaCaps™ per il rilascio controllato di attivi agricoli.
Possono i polimeri biodegradabili evitare le microplastiche persistenti?
Sebbene esistano polimeri biodegradabili che soddisfano gli standard (ad esempio, EN 17033), questi prodotti sono generalmente più costosi e persistono preoccupazioni sull’effettiva biodegradabilità in condizioni reali. La maggior parte delle plastiche biodegradabili richiede un trattamento speciale per degradarsi e compostare, come gli impianti di compostaggio industriale.
Fattori come la temperatura, la varietà e la concentrazione di microrganismi e l’esposizione ai raggi UV possono influenzare significativamente il tasso di biodegradazione. Ad esempio, l’acido polilattico (PLA) si degrada molto più lentamente negli ambienti oceanici freddi e con scarso ossigeno rispetto alle condizioni controllate di compostaggio industriale.
Inoltre, spesso sono necessarie modifiche chimiche per migliorare le proprietà meccaniche e la durata di conservazione dei prodotti in plastica biodegradabile, cosa che può compromettere la biodegradabilità stessa. Tutto ciò solleva interrogativi sulla persistenza delle microplastiche generate da prodotti etichettati come biodegradabili.
Pertanto, senza adeguate infrastrutture di raccolta e smistamento della plastica per i compostabili e di compostaggio industriale, le plastiche biodegradabili possono comunque finire nelle discariche e negli ambienti marini, portando a inquinamento ambientale.
Prospettive
Se da un lato i polimeri biodegradabili si mostrano molto promettenti, il processo di biodegradazione è fortemente influenzato dall’ambiente e dalle condizioni di processo. In molti casi, è necessario il compostaggio industriale per scomporre i biopolimeri; senza di esso, i biopolimeri spesso non si degradano in un lasso di tempo significativo e causano gli stessi problemi ambientali delle plastiche convenzionali.
Sono necessarie ulteriori ricerche in questo settore per identificare e sviluppare polimeri che siano biodegradabili in ambienti e condizioni significative.

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