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Arriva la Plastic Tax europea: l’impatto sulla filiera

Una nuova Plastic Tax, questa volta europea. Nell’ambito del pacchetto di recupero dalla pandemia da coronavirus da 750 miliardi di euro, l’UE ha deciso una nuova imposta sui rifiuti di imballaggi in plastica. La tassa, che sarà introdotta a partire dal 1° gennaio 2021, sarà calcolata sul peso dei rifiuti di imballaggi in plastica non riciclati e avrà un importo di 0,80€/chilogrammo, con un meccanismo che eviti un impatto eccessivamente regressivo sui contributi nazionali. I proventi dell’imposta andranno all’UE. Ad oggi nessun commento è giunto dall’associazione dei produttori di materie plastiche PlasticsEurope. La scorsa settimana, l’associazione dei produttori chimici tedeschi VCI aveva messo in guardia dall’introduzione dell’imposta UE sui rifiuti di imballaggi in plastica che non viene riciclata.

Le misure legislative hanno spinto le aziende di tutto il settore petrolchimico e del settore del packaging ad adottare obiettivi di sostenibilità sempre più ambiziosi che spesso vanno oltre i minimi richiesti dall’UE. Molti produttori di bottiglie di plastica hanno fissato l’obiettivo di raggiungere almeno il 50% di materiale riciclato entro il 2030, oppure si spostano su altri materiali come alternative a base biologica o materiali non-plastici che spesso hanno un impatto ambientale maggiore rispetto alla plastica a causa del maggiore consumo di energia, della produzione di CO2 e del peso.

La filiera del polietilene tereftalato riciclato (R-PET) è forse l’esempio chiave della carenza di materiale perché è attualmente la plastica più riciclata in Europa e ha il mercato e le infrastrutture più sviluppati. Nonostante un tasso di raccolta del 63% nel 2018, il tasso di crescita è rallentato a meno del 3%/anno. L’analisi dell’istituto ICIS mostra che per raggiungere l’obiettivo di riciclo della plastica monouso (SUP) del 77%, il tasso di crescita annuale deve essere del 9%/anno, e ciò senza tenere conto dei crescenti tassi di contaminazione. La contaminazione incrociata da altre materie plastiche e le perdite dovute al processo meccanico hanno visto i tassi di spreco medi in tutta Europa passare dal 25% a circa il 30-35% secondo le stime del mercato.

Altri settori come il riciclo di fibre e prodotti chimici sono sempre più alla ricerca di una quota maggiore di rifiuti post-consumo di polietilentereftalato (PET). I produttori di imballaggi che utilizzano materiali come polietilene (PE), polipropilene (PP), polistirene (PS) e polivinilcloruro (PVC) hanno anche studiato un passaggio ad altri materiali tra cui il PET a causa della percezione, causata dai tassi di raccolta, che l’R-PET – in particolare materiale per uso alimentare – sia abbondante. Un ulteriore limite per il mercato delle bottiglie di plastica è la mancanza di produzione di pellet alimentare (FGP), che attualmente ammonta a circa 300.000 tonnellate/anno in Europa, ovvero circa il 9% della domanda complessiva di bottiglie di plastica PET.

Insieme a questo, per ottenere l’approvazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), il 95% del materiale utilizzato nel ritrattamento deve essere stato ottenuto da applicazioni a contatto con gli alimenti e deve esserci una tracciabilità completa e dimostrabile lungo tutta la filiera. Per l’R-PET la materia prima principale viene utilizzata per bottiglie di plastica, quindi il raggiungimento della soglia del 95% non è attualmente una sfida. Ma per altri materiali riciclati in cui sono raccolte più forme di rifiuti, è proibitivo provare la provenienza del materiale per raggiungere la soglia del contenuto del 95%. Per il PE riciclato (R-PE), ad esempio, l’unica fonte di pellet alimentare post-consumo è il Regno Unito, dove le bottiglie di latte forniscono un flusso di rifiuti facilmente separabile.

La capacità di R-PET per uso alimentare è destinata ad aumentare con l’entrata in vigore di nuovi progetti nel 2021, ma sono ancora necessari investimenti per aumentare la capacità alla stessa velocità della domanda. L’utilizzo delle FGP deve triplicare sui volumi del 2018 per raggiungere l’obiettivo SUP del 25%, una chiara una sfida per l’industria, data la pandemia e la macroeconomia che deve affrontare. La carenza strutturale di materiale, insieme a limitazioni tecniche come l’opacità del materiale e la perdita di resistenza alla trazione, hanno portato le aziende a esplorare altre strade per raggiungere impegni di sostenibilità come il riciclo chimico o materiali a base biologica.