
K 2025 segna la fine delle vecchie certezze: non è congiuntura, ma una nuova epoca, tra cambiamenti geopolitici, ritorno della guerra e un’industria plastica chiamata a ripensarsi.
La fiera K 2025 si è chiusa con un bilancio tutto sommato positivo. I padiglioni erano vivi, i visitatori qualificati, le aziende hanno presentato innovazioni di rilievo. Eppure, chi conosce la storia di questo evento ha percepito un cambiamento profondo: meno trionfalismo, più realismo. Meno fiducia nei cicli di mercato, più consapevolezza che i riferimenti del passato non bastano più a spiegare il presente.
Ciò che stiamo vivendo non è una semplice congiuntura, né un’oscillazione del ciclo economico. È l’inizio di una nuova fase storica, in cui i modelli che abbiamo imparato a leggere sui manuali di economia e di politica non sono più sufficienti. Bisogna avere il coraggio di riscriverli.
Il mondo non si sta semplicemente adattando: sta mutando. Le catene del valore si ricompongono su basi nuove — sostenibilità, sicurezza, autonomia, prossimità. La globalizzazione, che per decenni ha dettato le regole del gioco, ha lasciato il posto a un ordine economico più frammentato, più strategico, più politico.
E su questo scenario si proietta, cupo e ingombrante, il ritorno del fantasma della guerra. Non più un rischio lontano o confinato, ma una variabile concreta che incide sui mercati, sugli investimenti, sulle scelte industriali. Le tensioni geopolitiche ridefiniscono priorità e alleanze, riportano in primo piano i temi della sicurezza, dell’approvvigionamento e della difesa. Anche l’industria delle materie plastiche, spesso percepita come un settore “civile”, riscopre la propria dimensione strategica: dai materiali avanzati per la mobilità e l’energia, fino alle tecnologie per la protezione e la sostenibilità, è parte integrante delle nuove catene del valore globali.
Le politiche industriali tornano protagoniste, l’innovazione tecnologica si intreccia con la geopolitica, il capitale umano e le risorse energetiche diventano leve di potere. In questo scenario, chi continua a leggere la realtà con le lenti della “ripresa ciclica” rischia di non vedere la trasformazione in atto: non un rallentamento temporaneo, ma una riscrittura profonda delle priorità.
Il K 2025 lo ha reso evidente: il settore plastico non si limita più a esporre macchine e materiali, ma discute modelli di produzione, filiere circolari, alleanze strategiche. È il segno che l’industria non cerca semplicemente di ripartire, ma di ripensarsi.
L’Italia e l’Europa hanno davanti un compito impegnativo: accettare che la normalità di ieri non tornerà e costruire invece una nuova idea di sviluppo, fondata su innovazione, formazione e politiche industriali coerenti.
Non stiamo attraversando una crisi: stiamo entrando in un’epoca diversa. E come in ogni svolta storica, non sopravviveranno i più forti, ma i più capaci di cambiare linguaggio, visione e mentalità.
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