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L’evoluzione della specie

Il segmento di produzione è quello dei cambiafiltri, con vocazione sempre più marcata verso i sistemi dedicati al riciclaggio di materiali molto inquinati. E in quest’area specifica sta imponendosi il Gorilla Belt, introdotto sul mercato appena l’anno scorso dall’azienda milanese e già seguito da un prodotto ancora più evoluto come il Twist Belt: il prototipo è stato presentato al recente Plast 2015.

Non sorprende che quasi 40 anni di specializzazione nel particolare settore di produzione, con numerosi brevetti depositati, abbiano fatto diventare il nome di un’azienda come la Cofit di Cerro Maggiore, in provincia di Milano, quasi un sinonimo di “cambiafiltro”. Tutto è cominciato nel 1967 quando, intuendo la grande espansione che stava per cominciare riguardo alla lavorazione delle materie plastiche su larga scala, Cofit puntò da subito sui grossi vantaggi che potevano derivare dall’evoluzione del processo di filtrazione.
Dalla nascita del primo cambiafiltro continuo, sistema brevettato per la sostituzione delle reti filtranti senza interruzione del ciclo produttivo, il percorso di ricerca e sviluppo aziendale, mirato a una costante innovazione tecnologica, non si è mai fermato. Tanto che oggi Cofit esporta in tutto il mondo − grazie anche ad altri brevetti come quello delle valvole per l’orientamento del flusso all’interno del cambiafiltro, da cui nasce il dispositivo di autopulizia che consente di non dover più estrarre i filtri − e può proporre una gamma di produzione adatta a ogni esigenza di impianto di lavorazione per dimensioni, grado di filtrazione e livello di automazione.
Per saperne di più sulle strategie aziendali in atto, e avere un quadro dettagliato dell’attuale fase di mercato, abbiamo incontrato il presidente e direttore commerciale di Cofit, Alessandro Fabbri: “Puntando come sempre a una costante innovazione dei prodotti, la nostra gamma è stata recentemente aggiornata e altre novità di rilievo sono in arrivo, con i tradizionali obiettivi di maggiori automazione, controllo e semplificazione delle operazioni, mantenendo un occhio di riguardo verso sia il risparmio energetico sia la riduzione dei costi e al contempo dell’impatto ambientale. Come abbiamo voluto dimostrare nel corso del recente Plast, presentando il prototipo del nuovissimo cambiafiltro Twist Belt dedicato al riciclaggio: è in fase di brevetto, abbiamo già trovato un partner per effettuare prove industriali e rappresenta la naturale evoluzione del nostro prodotto di punta Gorilla Belt, dato che oltre a essere completamente automatico consente anche la lavorazione in continuo”.

I vantaggi
Analizzandone i vantaggi nel dettaglio, Fabbri spiega che già il Gorilla Belt ? per altro di recentissima introduzione sul mercato dopo la presentazione allo scorso K 2013 ? consente all’estrusore di non doversi fermare grazie al cilindro di accumulo ma, nel momento del cambio rete, ci sono 22 secondi di stop obbligato al passaggio del melt, che interrompono la continuità di flusso: “Twist Belt va quindi a completare la gamma, pur evidenziando che il Gorilla è partito in modo egregio dopo la prima installazione presso un importante compoundatore italiano nell’agosto scorso, mentre numerose richieste ci pervengono da tutto il mondo, pur essendo ancora in una fase iniziale. Il nome Gorilla serve a dare un’idea di forza che deriva dalla caratteristica di avere due cunei che tengono la rete, quasi come due grandi mani, mentre in seguito un motore provvede a spostare la rete stessa tirandola. Il Twist Belt, invece, senza addentrarsi in troppi dettagli tecnici, è caratterizzato da un breaker girevole per ottimizzare ulteriormente il flusso. Consideriamo entrambe le nostre macchine più importanti per aggredire il settore del riciclaggio: i clienti così potranno preoccuparsi sempre meno del continuo coinvolgimento manuale dei loro operatori in un settore così complicato”.
Parlando un po’ di “numeri” e strategie produttive, Fabbri spiega poi come, almeno per quanto riguarda il Gorilla Belt, un obiettivo giudicato soddisfacente sia quello di arrivare alla produzione di una decina di macchine all’anno, avendo come clienti di riferimento non solo i compoundatori ma anche i riciclatori classici per materiale granulato, che rappresentano il target principale e in genere sono dotati di impianti completi di lavaggio: “La provenienza dei rifiuti è la più disparata ma, come è classico, si tratta in gran parte di materiale di postconsumo, quindi massimamente inquinato perché derivante, per esempio, dalla raccolta differenziata, con forte presenza di legno, sabbia, metallo, carta, composti chimici, inchiostri ecc. Il Gorilla è proposto in due taglie principali, ma sono disponibili sottotaglie in funzione del dimensionamento del cilindro di accumulo, con un range di produttività da 500 chili a 2.500 chili, volendo essere prudenti, per cui siamo praticamente in grado di soddisfare quasi ogni esigenza. Nel ricompound, per esempio, pur arrivando a picchi di produttività di 4.000 chili, si inserisce un 10% di carbonato di calcio e qui allora aumenta il peso specifico, ma direi che al massimo si raggiungono, in realtà, i 3.000 kg di polimero puro. Già il modello di taglia inferiore arriva a 1.600 kg, come è stato dimostrato attraverso appositi test, e infatti i clienti sono soddisfattissimi. Anche perché vogliamo mantenerci competitivi tenendo i costi un po’ sotto la media, tenendo conto che un impianto di per sé richiede comunque un certo investimento”.
Riguardo al resto della gamma, che storicamente comprende anche i “classici” prodotti a leva e a piastra, Fabbri sottolinea come in Cofit si continui a puntare sulla meno recente serie AP: “In questo caso siamo leader per il mercato BOPP: vendiamo per il 90% al costruttore di linea ma anche all’utilizzatore finale. La destinazione degli altri prodotti è invece più eterogenea: si va dall’upgrading all’end user con una nuova linea, il quale magari compra da noi il cambiafiltro e da altri l’estrusore, oppure acquista il pacchetto completo da chi fornisce l’estrusore”.

Il mercato
Dando uno sguardo al mercato globale, Fabbri afferma: “Le esportazioni incidono sulle vendite per l’80% e il nostro mercato principale, la Germania, ha fatto un po’ più fatica del solito l’anno scorso, per cui anche noi ne abbiamo risentito. Per fortuna possiamo basarci su vendite in tutto il mondo nonostante numeri piccoli, considerando sia la struttura limitata a 12 persone sia le macchine prodotte annualmente in un mercato potenziale, invece, molto vasto. Serviamo anche i mercati più lontani ed esotici: si va da una forte presenza in Giappone a quella fino in Australia e Nuova Zelanda. Altri Paesi di forte interesse sono poi Stati Uniti e Canada, mentre in Sudamerica la situazione è un po’ a macchia di leopardo, a seconda della validità degli agenti locali di cui ci serviamo: in Argentina siamo forti ma in Brasile ora dobbiamo rafforzarci. Garantiamo comunque a livello mondiale il servizio di pre e postvendita, sia organizzandoci da noi ove possibile sia ricorrendo a strutture in loco, almeno per il primo approccio dopo la richiesta del cliente. Abbiamo termini di consegna a 90 giorni mentre, per quanto riguarda le reti, non intendiamo entrare nel business limitandoci come policy a mettere in contatto clienti e fornitori, lasciando comunque libera scelta seppur garantendo la macchina solo se vengono utilizzati i nostri fornitori accreditati”.
Capitolo fiere. Fabbri assicura di aver ottenuto buoni riscontri di movimento anche alla NPE , pur senza avere un proprio stand con macchine. Mentre, per l’immediato futuro, “abbiamo in agenda subito il Plastpol in Polonia, quindi dopo la pausa estiva stiamo valutando a quale fiera prendere parte in Cina: e devo dire che non è facile determinare, ormai, quale sia l’evento più vantaggioso tra Shanghai e Guangzhou. Tutto contando di replicare il successo riscosso al Plast con il prototipo del Twist Belt”.