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La plastica che viene dal mare

From Threat to Thread, da minaccia a filo tessile. Questo il motto di una bella iniziativa ecologica destinata ad avere risonanza nell’ambito della battaglia per contrastare l’inquinamento da parte della plastica nei mari. La collaborazione tra  Adidas e l’organizzazione ambientalista “Parley for the Oceans”.

di Gabriele Modini

Sui giornali si legge spesso di zone oceaniche, dove si accumulano oggetti di plastica galleggianti. Lo scorso maggio, a Nairobi, il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (UNEP) ha approvato una risoluzione, in cui si afferma che “la presenza di rifiuti di plastica e di microplastiche nell'ambiente marino è un problema serio che ha bisogno di una risposta globale urgente”. Si stima che, nel 2014, negli oceani galleggiassero più di 5.000 miliardi pezzi di plastica, e tra i 15.000 e i 51.000 miliardi di microplastiche, per un peso totale di circa 270.000 tonnellate. La mappatura delle zone più inquinate ha interessato il Pacifico settentrionale e meridionale, l’oceano Atlantico e l’oceano Indiano, la costa dell’Australia e del Golfo del Bengala. L’immensa distesa di plastica include qualsiasi cosa, dai sacchetti ai detriti, fino agli attrezzi da pesca. Gran parte di questa spazzatura, sversata da ogni angolo del mondo, si accumula in cinque grandi spirali oceaniche, grazie a correnti circolari che concentrano le plastiche in alcune zone. Ogni oceano ha la sua spirale, tra le quali spicca il ben noto Great Pacific Garbage Patch, isola di plastica che si estende su una superficie delle dimensioni del Texas. Gli studiosi dell’ambiente marino sono concordi nel ritenere che in tali zone le concentrazioni potrebbero essere di diversi ordini di grandezza più elevate che altrove. I ricercatori sanno che la plastica può danneggiare gli animali marini. Le attrezzature da pesca fantasma hanno intrappolato e ucciso centinaia di specie animali, dalle tartarughe alle foche fino agli uccelli. Secondo i dati del National Oceanic and Atmospheric Administration, circa 100 mila esemplari di specie marine muoiono ogni anno per colpa dei rifiuti plastici. Molti organismi ingoiano pezzi di microplastica, che possono accumularsi nel loro sistema digestivo. Infatti, dopo che il sole ha degradato la plastica portandola a piccole dimensioni, gli animali marini la scambiano per cibo e la ingeriscono, con danni agli organi interni, compromettendo sicuramente la qualità e probabilmente anche l’igienicità del cibo che arriva sulle nostre tavole. Lo stesso avviene per gli uccelli marini. Una cifra spesso citata dice che il 90 per cento circa dei fulmari (una specie di uccelli marini) trovati morti sulle coste del Mare del Nord aveva frammenti di plastica nello stomaco. 

Ambientalisti alla riscossa
Un ambientalista statunitense particolarmente attivo, oltre che illuminato, Cyrill Gutsch, ha fondato Parley for the Oceans, un’organizzazione ambientalista e un network il cui scopo è di sensibilizzare riguardo alla fragilità dell’ecosistema più importante del nostro pianeta, proponendo e implementando strategie globali che possano evitare la sua distruzione. Il nodale è rappresentato da un assunto condiviso da molti che hanno a cuore la sopravvivenza dell’ambiente naturale: se gli oceani muoiono, sarà in pericolo la stessa sopravvivenza del genere umano. In particolare, si vuole difendere la biodiversità, e combattere le storture rappresentate da comportamenti scriteriati di alcune popolazioni poco sensibili al futuro del nostro pianeta, in nome di piaceri effimeri. Qualche esempio: milioni di squali vengono uccisi al solo scopo di prelevarne le pinne, onde servire in prestigiosi ristoranti delle raffinate zuppe. Oppure: sono più i pesci che finiscono nelle scatolette di cibo per gatti di quelli che vanno a nutrire tutte le foche del globo. Tali comportamenti sono ancora tollerabili senza conseguenze? Non per molto, se diamo ascolto agli scienziati che hanno preso in seria considerazione la situazione. E’ opinione ampiamente condivisa tra essi che – se le centinaia di miglia di reti a strascico, che stanno ora dragando gli oceani continueranno nella loro opera distruttiva – nel 2048 l’intera filiera della pesca avrà raggiunto il punto di collasso. Ma già nel 2025 l’ecosistema delle barriere coralline potrebbe essere totalmente compromesso. Parley for the Oceans, con sede a New York, è diventato un centro aggregatore degli ambientalisti più attivi, appartenenti a svariate categorie e organizzazioni – sia del settore artistico che scientifico – e, nel breve lasso di alcuni anni, dal 2013 ad oggi, ha potuto farsi conoscere e dare ampia visibilità alla propria attività. Ultimamente, nel 2015, durante il COP21, a Parigi, Cyrill Gutsch e Jefferson Hack, co-fondatore di Dazed Media, hanno raccolto esponenti delle industrie più creative in un summit all’hotel Les Bain, per scambi d’idee e lancio di proposte per la causa della salvaguardia degli oceani, dando seguito a una serie di convegni denominati “Oceans, Climate, Life,” iniziati presso l’assemblea Generale dell’ONU, e finalizzati a dare conseguenze pratiche alle belle (e spesso purtroppo disattese) dichiarazioni d’intenti per il controllo delle variazioni climatiche. 

Parley for the Oceans e le plastiche abbandonate in mare 
Una parte importante dell’azione di Parley for the Oceans è quella di andare a ricuperare – tra le plastiche abbandonate in mare – quelle che più si prestano a essere trasformate in prodotti utili; in particolare si tratta delle bottiglie di PET e delle reti da pesca, che opportunamente trattate vengono trasformate in filati tessili; qui ci andiamo a riallacciare al titolo dell’articolo: la plastica ricuperata non è più una minaccia per l’ambiente ma diventa la materia prima per la produzione di capi d’abbigliamento. Le prime operazioni di recupero sono state effettuate lungo le coste delle isole Maldive. Il piano di Cyrill Gutsch consiste nel raccogliere la plastica da spiagge e oceani e riciclarla in nuovi materiali per poi venderli ad aziende creative. L’obiettivo di trovare un modo efficace per comunicare ai consumatori l’urgenza che circonda gli oceani del mondo, Gutsch l’ha trovata per mezzo di un ambasciatore ben visibile: la plastica. La plastica è tangibile, visiva ed è più facile per sensibilizzare l’immaginario collettivo, più di quanto lo possano fare concetti astratti, come, ad esempio, le emissioni di carbonio.

Collaborazione tra ecologia e industria
Parley for the Oceans ha trovato un partner eccezionale in campo industriale, che ne ha sposato la filosofia ambientalista: Adidas, la ben nota multinazionale, che impiega oltre 55.000 addetti e produce quasi 780 milioni di capi d’abbigliamento sportivo in più di 160 Paesi, generando un fatturato di circa € 17 miliardi (dati 2015).  Focalizzandosi sullo sviluppo e il sostegno a nuove tecnologie per riciclare i detriti di plastica marina, Adidas e Parley for the Oceans sono stati in grado di trasformare la plastica degli oceani in filati tecnici che possono essere utilizzati per prodotti ad alte prestazioni. “E’ stato fatto un ottimo lavoro da quando abbiamo lanciato la nostra partnership con Adidas. Stiamo creando dei nuovi standard, con nuove tecnologie e materiali che sono molto diversi da quelli solitamente utilizzati nel settore.” afferma Cyrill Gutsch, fondatore di Parley for the Oceans. “È una sfida continua, ma abbiamo già raggiunto il primo traguardo. Ora possiamo sostituire la plastica vergine con detriti di plastica marina riciclata: Parley Ocean Plastic. Possiamo realizzare capi d’abbigliamento e calzature con questo sistema e siamo pronti a proseguire sulla scala industriale”. E così conclude: “Dal riciclo di normali bottiglie di plastica, quelle che contengono acqua o altre bibite, alla produzione di un tessuto leggero, economico e resistente. La cosa impressionante sono i numeri: 96% di materiale riciclato, 23% più leggero dei normali tessuti, solo 7 bottiglie per una maglia finita.”
La realizzazione di maggior impatto mediatico
Dopo i primi progetti, realizzati nell’ambito dell’abbigliamento e delle calzature, la collaborazione tra Adidas e Parley for the Oceans si è estesa anche al mondo del calcio. Infatti, dalla partnership sono nate due speciali maglie home di quelli che sono i due club più rappresentativi sotto contratto con il brand Adidas: Bayern Monaco e Real Madrid. La maglia del Bayern ha fatto il suo debutto, one night only, in occasione della partita che ha visto contrapposti i bavaresi di mister Carlo Ancelotti e il TSG 1899 Hoffenheim, lo scorso sabato 5 novembre, mentre il Real Madrid ha indossato la speciale “camiseta blanca” in occasione della sfida casalinga contro lo Sporting Gijòn dello scorso 26 novembre. Queste maglie – a completare l’attitudine ecologica – hanno gli stemmi delle squadre sul petto e la scritta “For the Oceans” sul retro del collo, realizzate con stampe a base d’acqua eco-friendly.

Calzature per lo sport e il tempo libero: Ocean Plastic Trainer
La collaborazione tra Adidas e Parley for the Oceans, ha portato ad una significativa innovazione nel campo delle calzature: le “Ocean Plastic Trainer”. Questa scarpa da corsa è stata realizzata per Adidas dal designer britannico Alexander Taylor ed è stata presentata per la prima volta durante un evento di Parley for the Oceans, sempre allo scopo di incoraggiare i creativi a riutilizzare i rifiuti dell’oceano per aumentare la consapevolezza su tale problema ambientale. Taylor ha deciso di realizzare le scarpe attraverso il processo di produzione standard utilizzato dal marchio, sostituendo, però, i filati standard con fibre ottenute dai rifiuti delle bottiglie e delle reti da pesca gettati negli oceani. “In questo modo” – afferma Taylor – “non vi è alcun motivo per cui materiali con caratteristiche simili a quelle che utilizziamo ogni giorno con i processi di produzione convenzionali, non possano essere semplicemente sostituiti da materiali plastici derivanti dall’oceano“. La società ha prototipato quest’idea la scorsa estate, ma non era esattamente “ready-to-wear”. Tuttavia oggi Adidas ne sta rilasciando un’edizione limitata; 50 coppie di una nuova versione “migliorata” in grado di soddisfare tutti gli standard. L’unico materiale vergine nella calzatura è il poliuretano termoplastico; la tomaia, invece, è interamente realizzata in plastica riciclata, composta da circa 16,5 vecchie bottiglie e 13 grammi di plastica recuperati da reti da pesca. La scarpa è costituita da due tipi di plastica riciclata: il PET, più comunemente utilizzato per le bottiglie d’acqua, e il nylon delle reti da pesca. PET è relativamente morbida, più facile da reincarnarsi in fibre; le reti da pesca, invece, sono più dure da manipolare. Adidas l’ha presentata nel corso di una conferenza della serie: “Oceani, Clima, Vita”, ospitata presso la sede delle Nazioni Unite a New York, evidenziando questo concept come parte di una più ampia gamma di abbigliamento sportivo. Il marchio ha anche annunciato la sua intenzione di sensibilizzazione sullo stato dei mari attraverso una collezione sostenibile, realizzata con rifiuti bonificati. Adidas si è inoltre impegnata a produrre entro il 2017 almeno un milione di scarpe sportive della serie Ultra Boost, usando come materia prima Parley Ocean Plastic.