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Industria chimica sotto attacco: dazi e tensioni riscrivono le regole

L’industria chimica globale sta entrando in un periodo di profonda incertezza, poiché l’aumento dei dazi doganali e l’escalation delle tensioni commerciali minacciano di smantellare decenni di globalizzazione.

Da quando il 2 aprile, Giorno della Liberazione, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dato il via all’ultima guerra commerciale, le principali economie hanno dovuto fare i conti con una crescita economica lenta o stagnante, mentre i produttori chimici devono affrontare prezzi bassi, margini ridotti e catene di approvvigionamento interrotte.

I dazi medi statunitensi sono passati dal 2,4% all’inizio dell’anno a un picco del 28% in aprile, per poi attestarsi al 16,8%, il livello più alto dal 1935. Questo forte aumento ha pesato pesantemente sui flussi commerciali globali, minando la fiducia e ritardando le decisioni di investimento. Per le aziende chimiche, le implicazioni sono evidenti: i modelli di business basati sulle esportazioni che hanno dominato per decenni sono ora minacciati.

La regionalizzazione come strategia di sopravvivenza

In tutto il settore, sta prendendo piede una transizione verso catene di approvvigionamento più locali o regionali, poiché le aziende rivalutano i modelli di business per ridurre l’esposizione al rischio geopolitico e alla volatilità dei dazi.

I produttori europei, già sotto pressione a causa della debole domanda, devono affrontare ulteriori sfide poiché l’accordo commerciale in sospeso tra Stati Uniti e Unione Europea potrebbe eliminare i dazi sui prodotti finiti e chimici statunitensi come il polietilene (PE), attualmente soggetto a un dazio del 6,5%.

Le esportazioni di PE dagli Stati Uniti verso l’Europa sono già aumentate vertiginosamente con l’aumento della capacità produttiva basata sull’etano.

Allo stesso tempo, gli esportatori cinesi potrebbero puntare sull’Europa come mercato alternativo se le barriere statunitensi dovessero persistere, aumentando il rischio di un eccesso di offerta.

Si chiedono maggiori protezioni normative per le catene del valore industriali europee, compresi i prodotti chimici. Esiste il rischio che la regione diventi troppo dipendente dalle importazioni invece di avere una solida base industriale interna.

Progetti chimici sotto pressione

Nonostante queste difficoltà, alcuni progetti su larga scala stanno andando avanti. L’unità di deidrogenazione del propano (PDH) da 750.000 tonnellate/anno di Borealis a Kallo, in Belgio, dovrebbe entrare in funzione nel secondo trimestre del 2026, mentre il cracker Project One di Ineos dovrebbe essere operativo all’inizio del 2027.

Insieme, queste iniziative aggiungeranno una significativa capacità di olefine a un mercato già alle prese con un eccesso di capacità. Nel frattempo, il progetto PDH-polipropilene da 1,8 miliardi di dollari di Grupa Azoty è incerto dopo che la sua società veicolo ha presentato istanza di fallimento.

La domanda è se l’Europa sarà in grado di sostenere questi investimenti in un contesto di cambiamento strutturale. Il consolidamento sembra inevitabile, con una manciata di operatori efficienti che probabilmente domineranno il mercato. Ineos, sfruttando la materia prima etano proveniente dagli Stati Uniti, potrebbe emergere come produttore a basso costo in Europa, mentre altri potrebbero chiudere ulteriori attività ritenute non competitive.

Una nuova realtà per i prodotti chimici

Gli analisti del settore avvertono che il sistema commerciale del dopoguerra sta “giungendo al termine”, costringendo i produttori a ripensare i fondamenti.

Intervenendo al podcast ICIS Think Tank, Paul Hodges, presidente di New Normal Consulting, ha affermato di ritenere che il settore debba orientarsi decisamente verso una produzione regionalizzata e catene di approvvigionamento sovrane.

“Le attività orientate all’esportazione non funzioneranno in futuro. Purtroppo è un dato di fatto”, ha affermato.

Hodges evidenzia due tendenze critiche: la necessità di garantire la resilienza dell’approvvigionamento locale e la rinascita della domanda legata alla difesa. “La difesa rappresenta un’enorme opportunità per l’industria chimica, perché non è possibile avere armamenti senza prodotti chimici”, ha osservato.

Con l’aumento delle tensioni geopolitiche e la coesione della NATO sotto pressione, i governi stanno correndo per garantire la produzione interna di materiali critici, comprese le munizioni.

Al di là della difesa, le tecnologie di riciclo e di economia circolare diventeranno sempre più importanti, poiché i produttori cercano di ridurre al minimo la dipendenza dalle materie prime importate.

Hodges sostiene che il realismo deve sostituire le illusioni: “Non possiamo più avere la garanzia dei mercati di esportazione, perché stiamo entrando in un mondo protezionista”.

Per i produttori chimici, il prossimo decennio richiederà agilità, innovazione e la volontà di ripensare i fondamenti dei loro modelli di business.

a cura di Will Beacham, vicedirettore di ICIS Chemical Business